Guillaume Tell Teatro Massimo, Palermo© rosellina garbo_0
© Rosellina Garbo

Guillaume Tell

4
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The opening night of a new season at the Teatro Massimo is always an event for the entire city of Palermo, and this year is also its first great event as capital of European culture for 2018, which also marks the 150th anniversary of Rossini’s death. Therefore starting the season with Rossini’s last monumental opera seems an obvious choice, performed here in the original French libretto with some cuts in the ballets in the third acts as suggested by Rossini himself. Guillaume Tell was conceived for the Paris Opera on a grand scale, as is evident in the musical richness, the difficulty of the vocal parts, the interpolation of ballets and the slow unfolding of events. The composer here introduced romantic elements in his distinctive style, still bound to classicist schemes, by giving a prominent role to the choral moments and by choosing the subject of an oppressed population yearning for freedom. The Venetian director Damiano Michieletto created the controversial production of this opera at Covent Garden from 2015 that was critically bashed back then and caused an uproar. In my opinion, he caught the soul and spirit of the opera in highlighting the strong link between Nature and the Swiss people disrupted by an oppressive power and expressed his innovative interpretation in a raw minimalist style. The Swiss people, in his idea, live in physical symbiosis with the earth: black soil is spread on stage reminiscent of Pina Bausch’s “Sacre du printemps” and they bond through tribal rituals. The oppression is symbolised by means of a giant uprooted tree on stage, an emblem of the pervasive sadistic violence, which culminates in the now notorious rape scene in the third act, where the rawness of the scene contrasts with the musically elegant Pas des Soldats and contributes to a lasting sense of estrangement. © Rosellina Garbo Intimate moments between Arnold and Mathilde are physically depicted through rituals of dressing and undressing. In general the constant choreographic movement lightens an otherwise static opera and culminates in a transfiguring finale on the word liberté. Maestro Gabriele Ferro conducts the brilliant orchestra with measured elegance and confidence. Particularly impressive was the work with the individual singers was, although greater dynamics in the orchestral interpretation would have benefited the music. The huge cast achieved an exceptional level of performance, to mention a few: Nino Machaidze was an outstanding Mathilde, her vocal control and beautiful stage presence seized the attention of the audience throughout; Luca Tittoto was a credible, sadistic Gester with a sardonic twist; Dmitry Korchak performed well the technically difficult role of Arnold by adding a tormented romanticism to the character; Roberto Frontali in the title role interpreted with sensitivity the role of a father, though as a revolutionary leader he seemed quite introverted if not tired; and Anna Maria Sarra gave Jemmy an energetic and brave interpretation. The choir conducted by Piero Monti was the real star of the night. The public in Palermo reacted positively to this innovative production, with the exception of a few protests against the director by some “traditionalists”. I personally think that finding a new language to engage the audience with something created for another epoch and removing old-fashioned frills is necessary if we want opera to continue transmitting its timeless emotions.

 


 

La serata inaugurale di una nuova stagione al Teatro Massimo è sempre un evento per l’intera città di Palermo, e quest’anno è anche il primo grande evento come capitale della cultura europea per il 2018, che coincide con il 150° anniversario della morte di Rossini. Quindi iniziare la stagione con l’ultima monumentale opera del pesarese è una scelta ovvia, qui eseguita nel libretto originale francese con alcuni tagli nei balletti del terzo atto come suggerito dallo stesso Rossini. L’opera Guillaume Tell è stata concepita per l’Opera di Parigi su larga scala, come è evidente nella ricchezza musicale, nella difficoltà delle parti vocali, nella presenza di numerosi balletti e nel lento dispiegarsi degli eventi. Il compositore qui ha introdotto elementi romantici nel suo stile distintivo ancora legato a schemi classicisti, assegnando un ruolo preminente ai momenti corali e scegliendo come argomento il dramma di una popolazione oppressa che anela alla libertà. Il regista veneziano Damiano Michieletto ha realizzato questa controversa produzione nel 2015 per il Covent Garden di Londra, dove è stata criticata in modo eccessivo e causato quasi uno scandalo. A mio parere, il regista ha colto l’anima e lo spirito dell’opera nel mettere in evidenza il forte legame tra la natura e gli svizzeri, spezzato da un potere oppressivo, e ha espresso la sua interpretazione innovativa in uno stile minimalista e crudo. Gli svizzeri, nella sua idea, vivono in simbiosi fisica con la natura (il palcoscenico ricoperto di terra, ricorda la scenografia del “Sacre du printemps” di Pina Bausch) e rafforzano il loro legame attraverso  rituali quasi tribali. L’oppressione è simboleggiata da un gigantesco albero sradicato sulla scena, emblema della pervasiva violenza sadica, che culmina nella ormai famigerata scena dello stupro nel terzo atto, dove la crudezza della scena contrasta con l’elegante musica del Pas des Soldats e contribuisce a un duraturo senso di estraniamento. I momenti intimi tra Arnold e Mathilde sono rappresentati fisicamente attraverso rituali di vestirsi e svestirsi e, in generale, il costante movimento coreografico alleggerisce un’opera altrimenti statica e culmina in un finale trasfigurante sulla parola liberté. Il Maestro Gabriele Ferro ha diretto la brillante orchestra del teatro con misurata eleganza e sicurezza. Particolarmente notevole è stato il lavoro con i singoli cantanti, anche se maggiori dinamiche nell’interpretazione orchestrale avrebbero giovato alla musica. Il numeroso cast ha interpretato i diversi ruoli ad un livello eccellente, per citarne alcuni: Nino Machaidze è stata una notevole Mathilde, il suo controllo vocale e la sua presenza scenica hanno catturato l’attenzione del pubblico; Luca Tittoto è stato un Gester credibile e sadico con un tocco sardonico; Dmitry Korchak ha interpretato bene il ruolo tecnicamente difficile di Arnold aggiungendo un tormentato romanticismo al personaggio; Roberto Frontali nel ruolo di Guillaume Tell ha interpretato con sensibilità il ruolo di padre, anche se come leader rivoluzionario è sembrato piuttosto introverso se non stanco; e, per finire,  Anna Maria Sarra ha dato un’interpretazione energetica e coraggiosa dell’adolescente Jemmy. Il coro diretto da Piero Monti è stato il vero filo conduttore della serata. Il pubblico di Palermo ha reagito positivamente a questa produzione innovativa, con l’eccezione di alcune proteste contro il regista da parte di alcuni “tradizionalisti”. Personalmente ritengo che trovare un nuovo linguaggio per coinvolgere il pubblico in un genere pensato per un’altra epoca e rimuovere inutili orpelli sia necessario se vogliamo che l’opera continui a trasmettere le sue emozioni senza tempo.